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La sindrome da disoccupazione

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Ma quale influenza pandemica? Ma quale suina? L’unica vera epidemia dilagante in Italia è la sindrome da disoccupazione, e le cifre sono tali da non lasciare spazio ad alcun dubbio, nonostante l’assordante silenzio che circonda tale fenomeno. Ad ottobre, secondo i dati Istat, nel nostro Paese si sono superati i 2 milioni di disoccupati.

Una cifra allarmante, che dovrebbe quanto più preoccupare, poiché spesso insieme al lavoro sì perdono anche serenità e salute. Uno studio dell’Istituto di Ricerche Sociali dell’Università del Michigan ha di recente provato che il rischio di ammalarsi, può sorgere anche prima della perdita del posto, infatti, è l’insicurezza rispetto al futuro a debilitare e fiaccare l’animo di chi potrebbe diventare disoccupato. Un clamoroso esempio delle tragiche ripercussioni sociali della disoccupazione è dato in Francia dai suicidi di France Telecom.

In Italia, l’unico a studiare la patologia depressiva correlata alla disoccupazione è il professor Francesco Campione, specialista in psicologia medica e fondatore del centro «Primomaggio» di Bologna, che afferma che «Il 100% dei senza lavoro corre il rischio di ammalarsi di depressione». Le testimonianze dei suoi pazienti parlano tutte degli stessi sintomi: senso di insicurezza, difficoltà a prendere sonno, angoscia, vergogna e sensi di colpa

Secondo il professor Campione non è raro che chi si trova da solo ad affrontare il problema finisca per cadere nelle trappole dell’alcool o delle droghe oppure diventi aggressivo, ed aggiunge “Solitamente l’aggressività si sfoga in famiglia. Quando poi capita finalmente l’occasione di un nuovo lavoro si sono sommati tali e tanti altri problemi che il candidato facilmente se la fa sfuggire”. A rischiare non sono solo le fasce più deboli della società, il dottore, infatti, prosegue “Il problema tocca molto di più le persone che vedono nel lavoro un mezzo d’affermazione sociale e personale”. Nel 2009 sono stati 13 mila i dirigenti disoccupati, il 10% del totale secondo le stime di Federmanager. Niente male per una Repubblica fondata sul lavoro.

Manuela Marino

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